lunedì 6 aprile 2015

Not Born to run



Giugno 1998. Il cielo di Milano era di un azzurro accecante, evento quantomai insolito, e nonostante non fosse ancora mezzogiorno l’aria era gia torrida e caldo era anche il tartan rosso della pista di atletica su cui stavo sdraiata, sudatissima e in iperventilazione. Fissavo il cielo senza vederlo, macchie bianche e nere a offuscare la mia visione e poi un ombra e uno sguardo divertito dietro un paio di occhiali da miope. “Ale, sei viva?” Scioscia. L’ultimo portatore sano di testosterone in una quinta liceo dal tasso estrogenico irreversibilmente oltre i livelli di guardia, aguzzino ad interim, temporaneamente arruolato per cronometrare il nostro ultimo test di educazione fisica prima della Maturità: i 1000 metri piani di corsa, l’equivalente di quattro giri di pista.


Onestamente non ricordo il mio tempo, ma sono sicura che doveva essere stato qualcosa di imbarazzante visto che credo di aver fatto almeno due giri camminando e tenendomi il fianco, la faccia rossa e il fiatone, la sensazione di stare per stirare le zampe prima di gettarmi a terra e decidere di non avere neppure la forza per arrivare negli spogliatoi. Test di Cooper, li chiamano. Fare tot salti con la corda in tot tempo, correre i 1000 metri in tot minuti e altre amenità di questo genere. Di solito i miei risultati erano addirittura sotto il limite minimo accettato. Tradotti in voti, gli unici 2 e 3 che abbia mai preso a scuola.

Se c’era qualcosa che poteva confermare la mia immagine di secchiona agli occhi dei miei compagni di classe, a parte i voti alti, erano proprio le mie prestazioni imbarazzanti nell’ora di ginnastica. Ero quella che subiva l’umiliazione di venire scelta per ultima nei giochi di squadra, quella che aveva difficoltà anche a fare il servizio di sicurezza a pallavolo, soffriva di vertigini sulle parallele asimmetriche e non ha mai imparato a fare la verticale contro il muro, mentre le mie amiche sapevano camminare sulle mani e fare la verticale a ponte e non avevano problemi a far arrivare la palla dall’altra parte della rete.

L’unica rivincita che mi sia mai presa è stata quando abbiamo fatto la trave d’equilibrio e lo studiare danza mi ha permesso di portare a casa una routine non semplice con buoni risultati. Ma a parte questo breve momento di gloria, la mia carriera ginnica a scuola è stata costellata di momenti imbarazzanti e di mantra silenziosi nello spogliatoio. Speriamo non ci faccia correre speriamo non ci faccia correre speriamo non ci faccia correre speriamo non ci faccia correre.

E immancabilmente, una volta davanti alla porta della palestra in calzoncini e maglietta, il sergente Hartman del nostro liceo, la temibile prof. Marcioni, sentenziava: “Ma sì, dai, andiamo fuori a correre che c’è il sole”. Lei giuliva e sorridente, io con il gelo nel cuore e spesso anche nelle ossa, visto che “il sole” c’è anche quando fuori è inverno e fa -2.

Quindi, ecco, la corsa non è mai stata per me. O almeno così pensavo. Perché quando è estate e tutte le attività che fai, mille ore di danza nel mio caso, si interrompono e tu cominci a pensare con terrore alla perdita di tono muscolare nei primi 5 minuti in cui la chiusura della palestra si trasforma in culo sul divano, ecco... devi escogitare un’alternativa. E la mia è stata provare ad andare a correre. Con i miei tempi e il mio passo, nessuna minacciosa pagella ad avvelenare la mia risoluzione fitness con insopportabile ansia da prestazione.

E insomma, a trent’anni suonati ho iniziato a correre. In strada e in palestra, sul tapis roulant, quando fuori è buio, piove o fa freddo. Ho iniziato a correre e ci ho preso gusto, non sono né mai sarò una velocista, ma riesco a resistere, a macinare chilometri, a pensare a un’eventuale competizione non come qualcosa che “manco dipinta” ma come qualcosa che “però, magari...”

Bè, più che magari, in realtà. Per la prima volta nella mia vita parteciperò volontariamente, e pagante, a una competizione sportiva, una 10 chilometri
che spero di finire nella fascia di tempo che ho dichiarato nel modulo di iscrizione. Non so come andrà, ma 17 anni dopo la mia disfatta sulla pista della scuola per quei miseri 1000 metri, non potrà che essere un successo.

2 commenti:

  1. Ma sai che rileggendo le tue parole mi è sembrato di tornare indietro nel tempo?? Anche io alle superiori ero una schiappa in ginnastica! Adesso, sto riscoprendo che è bello correre! Sono partita con lunghe camminate e piano piano ci ho aggiunto dei momenti di corsa, qua e là... Certo, non sono ancora pronta per una maratona, però senza i voti che mettono ansia ho scoperto che è pure divertente!!! In bocca al lupo e buon divertimento per la tua esperienza!!!

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    1. Grazie!

      E comunque la mia teoria è che a scuola non ti insegnano davvero a correre. A me nessuno ha mai insegnato a mantenere un ritmo costante, gestire il fiato, mantenere la corretta posizione finché ero a scuola. L'ho imparato dopo. E devo dire che anche solo queste piccole cose ti cambiano la vita! Dalla maratona sono ben lontana anche io, ma chissà che prima o poi... :-)

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