lunedì 27 aprile 2015

Book review: La mia anima è ovunque tu sia


"Chi trovò il corpo di Domenico Moresco pensò subito a un infarto. Il sangue sulla fronte era un graffio aperto dai rovi. Nessun’altra ferita faceva pensare a un delitto. Nella domenica di Pasqua, poi, che quell’anno era anche la festa della Liberazione. Chi avrebbe potuto uccidere il capo partigiano Moresco, e proprio in un giorno due volte sacro? Eppure fu chiamata lo stesso la polizia."

La mia anima è ovunque tu sia ha viaggiato con me dall'Italia, uno dei pochi cartacei che ho trasferito in Inghilterra insieme ai miei vestiti e al mio cuscino. Un regalo per l'Ingegnere di qualche anno fa, comprato d'impulso dopo aver visto Aldo Cazzullo da Fazio (sì, lo ammetto, le presentazioni da Fazio spesso influenzano le mie letture...), lui lo aveva già letto, io non ancora, da cui il posto trovato in valigia. E visto che ci stavamo avvicinando al 25 aprile, settimana scorsa l'ho aperto.

Il 25 aprile del 2011 Domenico Moresco, ricco produttore vinicolo di Alba ed ex capo partigiano comunista, viene trovato cadavere nel bosco. La morte insospettisce Antonio Tibaldi, l'altro magnate del vino albese rimasto invece nascosto in seminario con i preti durante la Resistenza, il quale incarica un'investigatrice privata di indagare.
Nell'autunno del 1963 Amilcare Braida, nome di battaglia Johnny, sta contando i suoi ultimi giorni di vita e con disperazione cerca di ricostruire e raccontare la storia di un misterioso tesoro partigiano giunto ad Alba e subito scomparso alla vigilia della Liberazione.
Nei pochi giorni che precedono il 25 aprile 1945, i due partigiani Domenico Moresco e Alberto Rinaldi, uniti dall'amore per la stessa donna morta per mano fascista, si trovano di fronte a una scelta etica che minerà per sempre la loro amicizia.

Ora. Se concludessi la mia recensione qui, lasciando solo questo riassunto da risvolto di copertina e uno dei titoli più belli che siano mai stati pensati, vi farei probabilmente una grave scorrettezza, perché magari vi fareste le stesse aspettative che mi sono fatta io. E purtroppo le mie aspettative sono state deluse.

Di solito, quando un libro non mi piace, smetto di leggerlo e non ne parlo nemmeno. Perché fare stroncature se non sono arrivata alla fine? Ma se alla fine ci sono arrivata, vuol dire che almeno qualcosa l'ho apprezzata, anche se poi in larga parte sono più le perplessità. E questo è uno dei casi in cui le critiche non riesco a tenerle per me.

Parliamoci chiaro. Il romanzo è scritto bene. Cazzullo scrive bene, è un giornalista, diamine! La narrazione scorre fluida, i capitoli sono brevi, non noiosi. Benissimo. Però la storia non c'è. Arrivata all'ultima riga ero lì che mi sentivo come il Lettore di Se una notte d'inverno un viaggiatore quando il libro gli si interrompe tra le mani dopo il primo capitolo. E il resto dov'è?

L'impressione di fondo è che la storia meritasse un po' più di approfondimento e che anche i personaggi meritassero un po' più di spazio e caratterizzazione. Voglio dire, la stessa investigatrice privata è protagonista di almeno tre o quattro capitoli. Non è una comparsa. Ha un nome. Una nazionalità. Una descrizione fisica. È persino nominata nel risvolto di copertina. E se tu, signor autore, me la fai diventare protagonista di una scena sadomaso, così, dal nulla, mi aspetto che poi mi spieghi anche il perché. Come diceva Checov, "se in un romanzo compare una pistola, bisogna che spari". Ma su questo fronte, di spari, non se ne sono sentiti. Col risultato che alla fine questa benedetta Sylvie col vizietto delle cinghiate sulla schiena (maveramente?) sembra un personaggio un po' appiccicato lì, tanto per dare colore.

Un po' come Amilcare Braida, che non si capisce se alla fine il libro lo ha scritto o meno e che non si capisce quanta influenza abbia nella vicenda. Anche se in questo caso si tratta di un omaggio a Beppe Fenoglio e allora, Cazzullo, qui ti perdono. 

Però mi arrabbio ancora di più perché con un titolo del genere, con tutti gli accenni che mi fai a proposito della storia d'amore partigiana che è alla base di quel titolo, un minimo di soddisfazione avresti dovuto darla. Mentre hai lasciato tutto appena accennato, delineato. Come uno schizzo a matita o a carboncino. Che per carità, nei musei espongono anche quelli. Ma sai cosa, signor Cazzullo? Io alla fine preferisco sempre fermarmi a guardare l'opera finita, perché mi emoziona molto di più.

Poi, be', naturalmente queste sono solo le mie opinioni. Qualcun altro potrà trovare il libro meravigliosamente perfetto e senza difetti, e non avrà le mie stesse perplessità. E magari avrà anche ragione. 

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