martedì 11 giugno 2013

Un musical "anarchico" in omaggio a De André



È il 1975 e da poco è stata emanata la legge Reale che attribuisce alla polizia il potere di utilizzare le armi da fuoco per mantenere l’ordine pubblico e istituisce arresto e carcere preventivo per chiunque sia sospettato di disordini, anche in assenza di flagranza di reato. In una Genova agitata dalle lotte sociali e dagli scontri di piazza, un gruppo di ragazzi si sta dando da fare per aprire un locale, La cattiva strada, che possa diventare un punto di riferimento, di socialità e di accoglienza del quartiere e, perché no, della città. Ma arrivare all’inaugurazione non sarà facile. Il nuovo questore, “un vero stronzo” che arriva da Milano, ha già fatto sapere che non darà l’autorizzazione all’apertura di un inaccettabile ritrovo di indesiderabili come coloro che lo vogliono gestire, persone un po’ ai margini a causa di idee politiche, esperienze di vita, povertà o semplici stranezze.

Come Gesù, un anarchico con alti ideali a cui dà risonanza con comunicati e volantini, ma un po’ troppo pacifista e non violento per la sete d’azione di Paoluzzo che ha una eccessiva debolezza per le armi. O come Nuccia, una puttana “figlia d’arte” che ha rinunciato a un grande amore e a Parigi, e Nancy, “che si innamora un po’ di tutti, non proprio di qualcuno”. E che fa perdere la testa al borghese Miché, che si chiama come il protagonista della canzone di De André ma che non ascolta De André, e che viene da Milano pure lui, curiosamente come il nuovo questore...

È da qui che parte il racconto di All’ombra dell’ultimo sole, lo spettacolo, in scena al Tieffe Teatro Menotti di Milano fino a domenica 16 giugno, scritto da Massimo Cotto sulla base delle canzoni, degli scritti e delle interviste di Fabrizio De André. Prodotto dallo stabile d’innovazione Tieffe, che ha preso in gestione lo spazio teatrale di via Ciro Menotti, questo musical anomalo, punteggiato da alcuni dei brani più significativi (ma non necessariamente i più famosi) del cantautore genovese, accompagnati da due chitarre e una fisarmonica in scena, restituisce in forma narrativa una vera e propria esegesi dell’opera di De André, del mondo che ha cercato di raccontare e della sua personale lettura dei rivolgimenti storici e sociali dell’Italia del secondo dopoguerra.

Un’operazione ambiziosa e ben riuscita, che avrebbe potuto sfociare in una banalizzazione e in una scelta “facile” della scaletta di canzoni da inserire. E invece Via del Campo è solo evocata, così pure Rimini, Bocca di Rosa è un personaggio e di Creuza de mâ si accenna solo il ritornello che però non evoca i mormorii e i rumori delle strade che conducono al porto di Genova, ma “le grinte, le ghigne e i musi” di chi viene arrestato, incarcerato e processato per il solo fatto di essere povero. O diverso.

Uno spettacolo dolceamaro, che parla di illusione, disillusione e volontà di riscatto. Che racconta la sconfitta di una generazione che ha provato, senza riuscirci, a cambiare le cose. Vuoi per chi ha tradito, vuoi per chi ha male interpretato l’esigenza di azione, vuoi per chi ha preferito voltarsi dall’altra parte perché il fuoco ha risparmiato la sua 1100, in questa storia sbagliata c’è chi è stato travolto. E per sfuggire all’ultimo, inesorabile dolore, si rifugia nella fantasia e lì trova la propria redenzione.

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